L’Iran dopo Khomeini
Il fronte esterno
e la fronda interna

Il 5 giugno, a Teheran la Guida Suprema dell’Iran, Ayatollah Khamenei ha ricordato la ricorrenza del 25° anniversario della morte dell’Ayatollah Khomeini.

E ha segnalato le due minacce cui si trova di fronte il Paese.

La prima è il confronto con gli USA che continuano a interferire negli affari interni dell’Iran.

La seconda e più dannosa è costituita dai dissidenti interni che mettono in pericolo l’unità del Paese.

A questo proposito la Guida Suprema fa una chiara distinzione.

Da un lato ci sono coloro che nel 1979 sfidarono gli USA e lottarono per la detronizzazione dello Shah Mohammed Reza Pahlevi e restano ostili all’Occidente e agli USA.

Dall’altra parte si attivano coloro che vorrebbero percorrere strade diverse da quella indicata dal Grande Ayatollah Khomeini.

Da questo scontro nascono le divergenze in seno alla dirigenza nazionale.

Si tratta della scelta di campo di Khamenei per il fronte ultraconservatore di Ahmedi Nejad e della sconfessione del Presidente Hassan Rowhani.

 

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Su chi può contare oggi Rowhani? Su importanti Istituzioni ed esponenti politici del Fronte Esterno ma non sempre in sintonia fra di loro.

Il 24 maggio l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, nel Rapporto mensile ha comunicato che l’Iran ha tagliato l’80% delle sue scorte di uranio arricchito oltre il 20%, insufficienti a fabbricare ordigni nucleari ma criticate da Israele e dalla Comunità Internazionale.

Teheran possiede 40 chili di uranio altamente arricchito pari a 1/5 di quello necessario per la costruzione di un ordigno militare.

Da canto loro, gli USA riconoscono piccoli progressi nel 5° Vertice dell’Iran con il Gruppo P5 + 1 (i cinque membri permanenti di Consiglio di Sicurezza ONU, più la Germania) svoltosi una settimana prima del Rapporto A.I.E.A.

Ma gli statunitensi hanno fatto congelare dal Dipartimento del Tesoro i fondi di Mortez Tamaddon, Capo del Consiglio di Sicurezza di Teheran, per aver limitato la libertà di parola a manifestanti nel 2009 e 2012 attraverso minacce e interruzione delle comunicazioni.

 

Un inaspettato sostegno alla posizione iraniana viene da Israele a pochi giorni dalla ripresa dei colloqui dell’Iran con il Gruppo dei 5 P + 1 che dovrebbe portare a un accordo in vista della scadenza definitiva del negoziato il 20 luglio.

In un’intervista al quotidiano Yediot Ahronot, il dr. Eilam, capo per un decennio della Commissione per l’Energia Atomica Israeliana, spiega che occorrerebbero almeno 10 anni prima che l’Iran si possa dotare di una bomba atomica.

Nonostante una imponente campagna mediatica critichi l’articolo, Eilam aggiunge di non essere è sicuro che Teheran voglia la bomba e che la paura nel Paese è alimentata dal Premier Netanyahu solo per scopi politici.

Eitam riprende in sostanza quanto aveva dichiarato anni prima l’ex capo del Mossad, Meir Dagan, contrario all’attacco militare all’Iran.

 

Inoltre, nell’incontro con il Presidente russo Putin a margine della Conferenza per i rapporti economici in Asia, lo stesso Rowani ha ottenuto due importanti risultati: la chiusura di un contratto energetico con Mosca da 10 miliardi di dollari e la promessa del Presidente cinese Xi Jinping di inserire l’Iran nella formazione di una nuova infrastruttura regionale in materia di sicurezza.

Infine, potrebbero arrivare a una svolta le relazioni con l’Arabia Saudita, dove il Ministro degli Esteri iraniano, Javad Zarif si recherà a breve.

 

Le iniziative di Rowhani e l’appoggio sia pure incerto di parte della Comunità Internazionale

non appaio sufficienti al rafforzamento del Presidente per due problemi provenienti dalla fronda interna.

Nonostante le sue promesse, la stampa riformista ha subito alla fine di maggio l’arresto di tre giornalisti: Saba Azarpelk, reporter del quotidiano Etemad, e i giornalisti Seraji Miramandi e Saeed Bourazizi.

Quasi a contestare le dichiarazioni del Presidente in merito alla diminuzione dei controlli su Facebook, 8 giovani sono stati arrestati dalle Guardie Rivoluzionarie.

Notizie preoccupanti provengono dal circuito carcerario per casi di trattamento inumano e improvvise scomparse di detenuti politici.

A questi casi si aggiungono problemi strutturali per le condizioni di vivibilità della gran parte della popolazione.

Il ritardo nella revoca delle sanzioni penalizza fortemente un Paese con un altissimo tasso di disoccupazione, l’inflazione e il prezzo delle abitazioni alle stelle.

Gli stranieri evitano di investire in un Paese ancora sotto sanzioni e con un’economia in forte sofferenza.

 

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Gli alleati di sempre, Siria ed Hezb’ Hallah, hanno parzialmente coinvolto l’Iran nelle guerre civili in cui sono impegnati, sia pure a livelli diversi.

E il vento di restaurazione che soffia sull’intero Arco Mediterraneo non invia segnali positivi né da Egitto e Tunisia né dalle formazioni palestinesi prima vicine come Hamas, Jihad Islamico Palestinese, Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina- Comando Generale.

E indicazioni negative vengono pure dall’Europa con la guerra in Ucraina e la deriva populista, razzista di estrema destra in Francia, Gran Bretagna, nella Regione belga delle Fiandre, in Ungheria, nei Balcani.

E’ in questo difficile contesto che dal 16 al 20 giugno si svolgerà a Vienna i 6° round del Vetice Iran con il Gruppo 5 P + 1, per arrivare a un Accordo per la firma del Trattato condiviso sul nucleare.

Dai risultati di Vienna dipenderà il percorso moderato di Teheran o l’inversione della rotta, come avvenne per il Presidente Sayyed Mohammed Khatami per fare spazio ad Ahmedi Nejad.

Tags: Iran
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