
È un arabo francese lo jihadista assassino del museo ebraico.Mehdi Nemmouche voleva mostrarsi in tutta la sua folle potenza di sterminatore mentre sparava raffiche di kalashnikov su poveri passanti disarmati di fronte al museo ebraico di Bruxelles. Il fucile d’assalto ha funzionato, la telecamera no. Ed ecco che l’uomo, compiuta la strage, registra la sua ‘giorstificazione’: “Al museo ebraico la telecamera non ha funzionato”. E’ la colonna sonora del video di 40 secondi sequestrato a Nemmouche in cui il ‘sospetto’ inquadra le armi in suo possesso. Voleva esibire il suo odio filmando ma ora fa scena muta col procuratore di Parigi Francois Molins.
L’uomo era stato condannato sette volte in Francia, e per ben cinque volte era finito in carcere, in particolare a Lille (nel nord) e Tolone (nel sud). Fra le iscrizioni trovate sul telo che avvolgeva il kalashnikov sequestrato a Nemmouche, quella di Isis, lo “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante”, o più esattamente, “Stato Islamico dell’Iraq e Grande Siria”, un gruppo jihadista attivo soprattutto in Siria, dove il sospetto avrebbe soggiornato presso gruppi combattenti dalla fine del 2012 per oltre un anno “prima di far perdere le tracce” dicono fonti dei servizi segreti interni francesi mobilitati.
Nemmouche sarebbe stato in Siria nel 2013, probabilmente a combattere. Schedato dai servizi interni francesi, il DGSI, come seguace della jihad islamica che opera in Siria, era uno dei molti cittadini francesi di origini arabe arruolati segretamente in gruppi terroristici del fondamentalismo islamico. Abbastanza fortunata l’operazione del suo arresto. L’uomo, spiegano da Marsiglia, è stato arrestato alla stazione ferroviaria di Saint-Charles dai servizi doganali che stavano facendo un normale servizio antidroga. L’hanno trovato su un pullman proveniente da Amsterdam e Bruxelles.
I testimoni della strage, secondo la stampa belga, avevano riferito di un uomo con una macchina fotografica appesa alla tracolla di una delle sue borse. Molti avevano ravvisato un parallelo con Mohamed Merah, il killer di Tolosa, che nel marzo 2012 uccise tre paracadutisti e poi tre bambini ebrei con il loro insegnante filmando le sue azioni con una telecamera. Altro indizio, un cappellino con visiera che il sospetto indossava al momento dell’arresto simile a quello sul capo dell’assassino nelle immagini della videosorveglianza. La giustizia belga ha emesso un mandato d’arresto europeo.
Nonostante l’arresto, ancora massimo livello di allerta terroristica in Belgio. “Li combatteremo, li combatteremo, li combatteremo” ha ripetuto il presidente francese Hollande, in una prima reazione all’arresto del presunto autore della strage di Bruxelles. “Voglio rendere omaggio ai doganieri, ai poliziotti- ha detto il presidente Hollande – per aver consentito questo arresto. Abbiamo la volontà di perseguire questi jihadisti, di evitare che possano nuocere e di evitare un loro ritorno a una guerra che non è la loro e non è certo la nostra. Li combatteremo, li combatteremo e li combatteremo”.
E si ripropone drammaticamente la questione dell’antisemitismo arabo. Lo choc dello scoprire oggi, dopo la dimensione della Shoah, un antisemitismo tanto feroce. L’ostilità araba verso Israele, un conflitto politico spesso drammaticamente motivato, si diceva decenni fa, che non c’entrava con l’identità ebraica. Un problema di confini e di governi. Non è andata esattamente così. L’aspetto più preoccupante di questa storia è che non si tratta di incidenti organizzati e attribuibili a un gruppo estremista di matrice religiosa o terroristica, ma di un razzismo predicato e diffuso.