I morti amici, i morti nemici e i morti due volte

Accade ogni volta e ogni volta si ammazza qualcuno una seconda volta. Giornalisti testimoni sulla prima linea di qualche guerra che per una foto, una sequenza, una storia da raccontare rimangono uccisi. Sta accadendo da subito sul cadavere di Andrea Rocchelli. Non la fine di una vita -tra le tante- nella tragedia immane di una guerra ma, il ‘chi lo ha ammazzato’, quasi a misurare la quota di riprovazione da riservare a quella morte sulla base di chi ha colpito. Ed Andrea diventa eroe o vittima per caso se a sparare quel colpo di mortaio, che sembra lo abbia ucciso, risulteranno i filo-Kiev o i filo-Russi. Schieramenti opposti di riprovazione e lutto. Assassinato due volte, la prima dalla disumanità della guerra e poi -peggio- dalla demenzialità delle tifoserie di schieramento. Accade sempre e da sempre fa torcere budella e produrre conati in chi, quei morti ammazzati li ha avuti accanto, quel palmo più o palmo meno da te che fa la differenza tra il tuo vivere e il suo morire.

Il giorno prima di Andrea erano stati “riesumati” a forza da caricaturali veline spionistiche sui presunti retroscena della loro morte in guerra, i cadaveri di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, uccisi a Mogadiscio 20 anni fa. La strumentalizzazione sui “fascicoli segreti finalmente desecretati” -grande vanto di cambiamento- e la caricatura finale di rapporti spionistici da fantapolitica. Anche per Ilaria e Miran il parossismo dell’appartenere loro malgrado. Eroi per caso nel loro essere stati quello che erano, una brava cronista e un bravo cineoperatore che facevano il loro lavoro in zone a rischio, oppure scopritori di segreti assoluti, mortali? Se qualcuno tra chi analizza, indaga, presume, deduce e ritiene, sposando la sua verità, avesse visto da vicino il corpo di un amico trapassato da un proiettile o massacrato dalle schegge di una granata, forse riserverebbe maggiore riguardo a tutte le sensibilità coinvolte. Lasciando ai morti le loro motivazioni alte e le piccole umanità a cui riservare riguardo.

Su Facebook, attraverso RemoContro, assistevo poco fa alla diatriba tra chi in Ucraina fosse più nazista tra i nazisti filo-Kiev e quelli filo-Mosca. Gara demenziale anche sul maggior Despota tra Putin e il resto del mondo dei despoti. Dibattito di tifoseria dove Andrea, il suo cadavere ancora caldo e non recuperato, era già stato sepolto dalla partigianeria. Pietà, per favore, silenzio. In certe situazioni di pericolo estremo non conta chi potrebbe ucciderti o il suo perché. Conta soltanto la ragione per cui vale la pena essere lì a giocarti la pelle. E quando accade che qualcuno di noi resta ucciso, conta soltanto il fatto che la vita se n’è andata. Personalmente credo di essere stato graziato più volte per destino. Cecchini, granate, auto bucherellate, un mio collega Rai, che avevo accanto entrando a Sarajevo nel ’92, che ne esce con un braccio bucato e il colpo deviato nella scapola, col mio dito medio infilato nel foro d’entrata a cercare di frenare l’emorragia. Voglio dire che morire in guerra è una cosa seria ed è ora che qualcuno la smetta di dire stronzate e fare inutili speculazioni.

Quando morirono Luchetta, Ota e D’Angelo a Mostar, avendo visto l’età dei figli che Marco lasciava arrivai a pensare che forse sarebbe stato più giusto che avessero ammazzato me al posto suo, vista l’età dei miei. Folle, vero? Eppure accade: la vita messa in gioco per davvero ha la stramba caratteristica di mutare i suoi valori. Vuoi certamente conservare la vita, ma senza tanta ostinazione. Sapete qual’è la vera paura? Le ferite che ti martirizzano. Ultima cosa dall’altro lato delle trincee di guerra. Le motivazioni che hanno portato Andrea, Ilaria, Miran e troppi altri colleghi ed amici a perderla e tanti tanti altri a giocarsi la vita. Soltanto sentimenti nobili ed alti? Probabilmente no. L’ambizione della decorazione alla memoria? Certamente no. La missione della testimonianza a tutti i costi. In parte sì. Dosi diverse di tutte le possibili motivazioni alte, medie e basse. Ognuno con la sua, che va rispettata sempre. Qualsiasi dolore sia da consolare.

 

 

Tags:
Condividi:
Altri Articoli
Remocontro