Abdel Fattah al Sisi, candidato costretto dalle forme al voto popolare del 26 e 27 prossimi per diventare Presidente dell’Egitto con una sorta di plebiscito, ha rilasciato la sua prima intervista ad un organo di informazione straniero. La scelta del veicolo -l’agenzia stampa europea più vicina agli Usa- si individua il destinatario. L’ex comandante delle forze armate egiziane fautore del golpe militare che il 3 luglio 2013 portò alla destituzione del presidente islamista Mohamed Morsi, ha fatto il punto sulla situazione dell’Egitto, mandano dei segnali distensivi a Stati Uniti e Israele.
Alla domanda non casuale su qual’è il messaggio che intende inviare al presidente degli Stati Uniti Barack Obama, Al Sisi ha detto di un ritorno alla cooperazione tra Washington e Il Cairo per rispondere in maniera efficace alle spinte jihadiste che dal Sahara e dal Nord Africa rischiano di travolgere l’Egitto e di minacciare direttamente lo stesso Occidente. Tradotto dall’egiziano, abbiamo Interessi comuni, quindi riaprite i cordoni della borsa. Da diversi mesi gli USA hanno congelato 1,3 miliardi di aiuti militari dopo la violenta repressione sui sostenitore dell’ex presidente Morsi.
Chiusa la partita Fratelli Musulmani, è il messaggio, ora gli interessi strategici tra noi Egitto e voi occidente sono tornati a coincidere, e spiega. “Adesso -ha scandito Al Sisi parlando ad oltre oceano- stiamo combattendo una guerra contro il terrorismo. L’esercito egiziano sta intraprendendo importanti operazioni soprattutto nel Sinai, dove l’obiettivo è fare in modo che questa regione non si trasformi in una base per il terrorismo. Se l’Egitto è instabile, allora l’intera regione del Nord Africa è instabile. Abbiamo bisogno del sostegno americano per evitare che ciò accada”. Chiaro?
Nel dubbio che l’interlocutore intenda, due esempi imbarazzanti per Obama. Riferendosi a quanto accade in Libia dove, dopo la caduta di Gheddafi hanno preso il sopravvento centinaia di gruppi jihadisti e bande armate senza controllo, Al Sisi afferma che “L’Occidente deve prestare molta attenzione a quello che sta succedendo nel mondo perché l’espansione dell’estremismo rischia di raggiungere anche i suoi territori”. E quindi l’affondo sulla Siria, dove per impedire l’avvento del jihadismo è far sì che il Paese resti unito, perché “altrimenti vedremo un altro Afghanistan”.
Con una rilevante finezza politica Abdel Fattah al Sisi, dopo aver colpito con gli argomenti Libia e Siria, poi passa a temi molto cari a Washington. Il ruolo dell’Egitto nei negoziati israelo-palestinesi oggi allo stallo. Al Sisi sottolinea che nonostante varie vicissitudini le relazioni tra i due Paesi per più di trent’anni sono rimaste stabile. “Abbiamo rispettato il trattato di pace e continueremo a farlo -afferma il prossimo Presidente egiziano – Adesso dobbiamo muoverci nella direzione della pace, pronti a svolgere un ruolo che permetterà di conseguire pace e sicurezza per tutta la regione”.
Chiarito il ruolo strategico delPaese, al Sisi presenta il conto in nome dell’Egitto. Dalla rivoluzione del 2011 che portò alla caduta di Hosni Mubarak gli attacchi terroristici nel Paese sono aumentati e l’insurrezione jihadista nella penisola del Sinai si è fatta sempre più preoccupante. A risentirne non è stata solo la sicurezza ma anche l’economia, indebolita dal crollo del turismo e dalla fuga degli investitori esteri. “La situazione economica in Egitto è difficile e i cittadini aspirano a un tenore di vita migliore. Più del 50% della popolazione vive nella povertà e c’è troppa disoccupazione”.
Per risollevare la nazione Al Sisi punta sulla ripresa dei rapporti con gli Stati Uniti non solo sulla sicurezza ma anche sul piano economico. Non senza condizioni, esempio, alleggerite le restrizioni imposte ai viaggi degli studenti arabi egiziani nei Paesi occidentali seguite all’attacco dell’11 settembre. “La nostra intenzione è di inviare i nostri giovani migliori a istruirsi all’estero e farli poi tornare in Egitto per farne la futura classe dirigente. L’Occidente vuole esportare la democrazia in molti Paesi del mondo. Ma servono un sostegno economico, e un adeguato programma formativo”.
La palla adesso passa agli Stati Uniti. Dopo aver fallito strategia puntando tutto sui Fratelli Musulmani, Obama deciderà di concedere una chance anche ai militari egiziani? Potrà fidarsi di Al Sisi considerato che questi, già qualche mese fa, era volato a Mosca per ottenere la “benedizione” di Vladimir Putin? Le domande che pone LokkOut diventano decisive per il futuro del “Grande Medio Oriente” definito da Washington. Con l’impegno statunitense a correggere una serie di clamorosi errori commessi nell’area soprattutto nella scelta di alleanze e di delega a gestire le crisi. Siria docet.