Timperi si confessa
La prima fu tedesca
Dalle grandi curve

maggilino bella donna sito

 

La prima volta non si scorda mai. Per me fu con una tedesca. Un classico per un ragazzo degli anni ’60. Tedesca, grandi forme… gran bei paraurti. Amore a prima vista. E precoce, considerati i miei nove anni. Era una Volkswagen. Anzi la Vovvaghina, vista la comprensibile ritrosia che un bambino di nove anni (all’epoca si era bambini a nove anni) poteva avere per la lingua tedesca. Vestiva bianco avorio. Aveva i paraurti cromati con i fendinebbia supplementari considerato il fiacco impianto elettrico a 6 volts. Mi piaceva da morire. Era l’auto di zio Fulvio, all’anagrafe Rolando, e non ho mai capito perché lo chiamassimo Fulvio. Forse per pareggiare, in assonanza, con mio padre Flavio. O forse perché una volta si usava così. Ogni tanto zio prestava la Vovvaghina a mio padre, che aveva la patente ma non l’auto. In quanto precario Rai.

 

Maggiolino a pedali

 

Maggiolino dunque. Una voce inconfondibile, farfugliante, boxerante. Un divano posteriore con un tetto inarrivabile. Era il mio piccolo mondo antico. Con il cuscino che rotolava tra una curva e l’altra. E poi lo spazio tra lo schienale e il lunotto. Ricovero, rispettivamente di: plaid, piumino (con buona pace del plaid), giornaletti di Tiramolla ingialliti dal sole. Da leggere di nascosto perché papà non voleva. “Fa male” come ripeto oggi io al mio di figlio, Daniele, appassionato di Topolino e Lucky Luke. E quando l’imprinting è forte come in questo caso, non c’è niente da fare. Non si scappa. Anche se in questi anni si sono alternate italiane, francesi, giapponesi, lei resta nel mio cuore. E dirò di più. Si é reincarnata in Gino Maggiolino, la Vovvaghina 2.0. Così come l’ho battezzata assieme a mio figlio Daniele. Perché ci sono automobili che hanno sigle. Altre nomi. E il Maggiolino è una di queste. Soprattutto l’ultima. Sicuramente migliore del Niu’ Bitol targato anni 90. E, ieri come oggi, il Maggiolino ha un pessimo rapporto tra spazio interno ed esterno.

 

Maggiolino-volkswagen-con-traino-parte-anteriore-car-design sito

 

Ma vuoi mettere. Se vai all’Ikea, in mezzo ad una mare di scatolette, becchi subito quel tetto tondo, ovoidale. Quei bei parafangoni raramente immacolati, considerato che fare manovra è un atto di fede che tanto piace al carrozziere. Una volta, per evitare il problema, si usava mettere una sorta di antennina sui parafanghi anteriori. Come nelle Kubelwagen della seconda guerra. Dal bianco avorio dei miei anni 60, al grigio argento del terzo millennio. Anche se il Maggiolino può permettersi di tutto. Lo abbiamo visto verde scarabeo, blu di prussia, verde pisello, verdone (non carlo), arancione, grigio topo (non gigio). Insomma gliene hanno fatte di tutti i colori. E tra quest’alfa (non di Marchionne) e omega (non Opel), nel mio cursus honorum posso vantare un Maggiolone arancione pagato 500 mila lire, che aveva un certificato di proprietà lungo quanto l’A1.

 

Volkswagen-Beetle-Dune-
Volkswagen-Beetle-Dune-

 

Poi, arrivò un Maggiolone cabrio bianco preso da Tullio Solenghi… già il cognome. Apparentemente in ordine, mi costò la bellezza di 9 milioni dell’epoca per rimetterlo in condizioni degne del suo rango. Fu il mio regalo per il rientro a Roma da Milano, per siglare il passaggio in Rai. Poi, anche una fugace fuitina con un “orendo” Niu’ Bitol nero. E gia’ immagino i vostri commenti. Ma quante ne hai avute? Tante. Quasi una malattia. Ogni tanto provo a stilare un elenco ma la memoria mi tradisce. O in alcuni casi, tipo Citroen Visa o Fiat 850, tendo a rimuovere. Ad ogni modo, queste sono altre storie ed altre auto. Che ho intenzione di raccontare. Alla prossima.

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