In Arabia Saudita
minacce ai confini
È corsa al riarmo

Eccezionale attenzione mediatica organizzata per l’operazione anti-terrorismo nel regno: un segnale a livello interno e internazionale del cambio di strategia dopo le forzate dimissioni del Principe Bandar bin Sultan, Capo dell’Intelligence che aveva investito tempo e finanziamenti per organizzare le principali forze islamiche contro la Siria sino a formare nell’ autunno 2013 il Fronte Islamico emarginando il ruolo dei Fratelli Musulmani, dell’Esercito Libero Siriano e del Qatar.

Nel quadro di questo nuovo approccio alla situazione regionale, la prima attività del nuovo responsabile della sicurezza, Principe Mohammad bin Nayef, è stata la legge che vieta ai sauditi di partecipare o istigare a combattere in altri Paesi e a partecipare a manifestazioni in sostegno di una fazione.

Disposizione seguita dall’inserimento nell’elenco delle organizzazioni terroriste del Fronte Jabbat al Nusra, dei Fratelli Musulmani e delle due formazioni sciite degli Houthi operanti nello Yemen del Nord ed Hezb’Allah saudita, ritenute emissarie dell’Iran.

 

Il preludio della campagna repressiva va in scena alla fine di aprile, in occasione del nono anniversario di regno dell’Emiro Abdullah con lo svolgimento della più grande esercitazione militare del Regno chiamata ‘Abullah’s Shield’.

Nella provincia orientale saudita alla King Khalid Military City ad Hafr al Batin, in vicinanza dei confgini con Iran e Iraq partecipano 130 mila soldati.

I Sauditi mostrano i missili balistici CSS-2 acquistati segretamente in Cina nel 1987 durante la guerra Iran – Iraq.

Missili che, pur vecchi, hanno una gittata di 2.650 km e, in Cina, sono dotati di ordigni nucleari.

Nell’esercitazione sono coinvolti tutti i settori militari e della sicurezza che fanno capo ai Ministri di Difesa e Interno oltre che dell’Intelligence e della Guardia Nazionale.

Infine la dichiarazione pubblica sulla volontà saudita di costituire un Istituto per la guerra elettronica nella Regione orientale e di incrementare i budget per la difesa a 67 miliardi di dollari all’anno divenendo il quarto Pese dopo USA, Cina, e Russia.

 

Succede che l’Arabia Saudita si trova davanti a tre minacce per la sua sicurezza provenienti da Siria e Iraq e dallo Yemen.

In Siria e Iraq il contrasto dell’ISIS con il Fronte Jabbat al Nusra e il leader di Al Qaida potrebbe spingere i combattenti verso Nord in Turchia o verso Sud in Arabia Saudita.

Inoltre, dalla Siria come dall’Iraq le milizie sciite obbedienti al comandante dell’Esercito Mukhtar, ramo di Hezb’allah iracheno, minacciano apertamente Arabia Saudita e Kuwait per le discriminazioni nei confronti delle minoranze sciite nei due Paesi del Golfo.

Nell’ipotesi di insuccesso in Iraq del Partito islamico Dawa dell’attuale Premier Maliki l’Iraq potrebbe dividersi per linee etniche, religiose e tribali favorendo l’infiltrazione dei jihadisti in Arabia Saudita lungo le frontiere di circa mille chilometri.

Nello Yemen poi ‘Al Qaeda in the Arabian Peninsula’ è particolarmente attiva nel Nord e ha frequenti scontri nelle zone frontaliere di oltre 1.700 km con l’Arabia Saudita.

Se l’esercitazione militare era indirizzata a Damasco, Baghdad e Sana’a il convitato di pietra era Washington.

L’Arabia Saudita pur restando alleato degli USA nello Yemen per condivisi interessi ha perso la fiducia per la posizione statunitense in Siria e Iraq, Paesi nei quali la leadership rimane quella sciita: in Siria perché c’era e rimane, e in Iraq perché di fatto è il risultato finale della guerra a gestione Usa del 2003.

 

 

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