
Incredibile ma è accaduto. Il Parlamento italiano pressato dalla lobby delle multinazionali fa loro lo sconto e nel solo 2013 lo Stato ha perso oltre 750 milioni di euro. Conti alla mano, ogni punto percentuale sull’aliquota della tassa, l’accisa come per la benzina, vale circa 200 milioni di euro. Per cui, se l’Italia “tassatrice” impenitente, se sulle sigarette applicasse ad esempio il 65,5% della Francia che sul vizio del fumo non perdona, con sette punti in più di “accisa” allo Stato andrebbero -conti della torinese Yesmoke – 1 miliardo e 400 milioni di euro in più di tasse».
Tasse basse e prezzi alti, i nostri polmoni godono, la loro tasche di più. Eppure sarebbe un bel traguardo per il governo, che annaspa per racimolare quattrini. Le multinazionali che hanno agito in regime di monopolio, vedrebbero comprimersi i loro profitti e ai contribuenti, fumatori e no, verrebbero restituiti parte dei loro soldi. Un’azione equa che viene però ignorata stranamente dalla politica. “Sensibilizzata” dai giganti delle sigarette – Philip Morris, British American Tobacco e Japan Tobacco Interational – che coprono oltre il 98 per cento del nostro mercato.
Tutti gli altri aspettano venditori di fumo fuori dalla porta, mentre i grandi giocano. Tra i piccoli ci sono anche imprenditori italiani che ancora investono nel nostro Paese, che praticano invece una politica di prezzo più basso per entrare in concorrenza. Ad esempio un’azienda di Settimo Torinese, che impiega oltre 100 lavoratori. Ma alla Commissione finanze della Camera presieduta dal radicale e berlusconiano Daniele Capezzone, quando si parla di prezzi sono invitati soltanto i rappresentanti delle multinazionali, che chiedono di non alzare le tasse forse per non perdere il vizio.
A dare ragione a Big Tobacco ci sono anche delle relazioni economiche di importanti centri di ricerca universitaria, come il prestigioso Centro Arcelli per gli studi monetari e finanziari (Casmef) dell’Università privata Luiss Guido Carli. I ricercatori del Casmef hanno redatto un complesso documento, dimostrando che alzare le tasse sui tabacchi lavorati non porta grandi benefici alle casse dello Stato e rischia di favorire il contrabbando. È vero? Lo studio – dice lo stesso relatore – è stato finanziato da due multinazionali: la Bat e la Jti. Nessun dubbio sulla “terzietà” della scienza?
La guerra dei prezzi, fatta prima di costi minimi delle sigarette e ora di strumenti fiscali, si sta per fortuna rivelando un boomerang per i giganti del tabacco che vogliono tenere fuori dal mercato i piccoli produttori. Memoria di Eni, Mattei e 7 sorelle del Petrolio. La cancellazione del prezzo minimo da parte della Corte di giustizia europea nel 2010 ha dato il via ad un gioco al ribasso delle bionde, con gradi variazioni ruispetto alle marche di prezzo alto. Questo ha permesso ai piccoli di farsi strada nel mercato italiano ed estero, disturbando non poco gli affari di Big Tobacco.
Dopo il prezzo minimo -che all’Italia è costata una multa da parte di Bruxelles- i padroni delle bionde hanno aggirato le indicazioni dell’Europa con la “tassa minima”, altro provvedimento illegittimo, cancellato dal Tar nel 2012. Una trovata dopo l’altra, favorita dal Parlamento italiano che sembra voler fare il gioco delle multinazionali. Ma negli ultimi tempi la musica sembra cambiare e i big stanno rincorrendo i piccoli che intanto si sono arrabbiati. La torinese Yesmoke è la responsabile del ricorso in Europa e al Tar. Conseguenza, calano i prezzi di alcune marche.
Multinazionali voraci a garantirsi enormi profitti con prezzi alti e tasse basse. Vediamo come. Chi vende le sigarette “dimostrando” costi elevati, viene premiato con un forte sconto sulla parte proporzionale della tassa, detta accisa minima per non far far pagare troppo le bionde e favorire il contrabbando, dicono. Se produco a minor costo non vale l’accisa minima e le tasse volano. I furbi tengono alti i prezzi, fanno concorrenza ai produttori onesti e pagano meno tasse. Solo in Italia dove l’accisa è ferma da oltre dieci anni al 58,5 mentre in Europa è salita oltre il 65 per cento.