
Tutto esplode con la protesta contro l’abbattimento del parco Gezi a Istanbul per far posto a un centro commerciale, una riproposizione di vecchia caserma ottomana e di una moschea. La protesta di piazza Taksim è poi degenerata in scontri dopo l’intervento estremamente duro della polizia e si è poi allargata ad altre zone della città e del paese. La protesta nata a Istanbul non è però né l’inizio di una pretesa primavera turca né una semplice protesta ambientale. E non è assolutamente, nella sua essenza più profonda, una reazione all’avanzata di un certo conservatorismo di stampo islamista.
Sulla continuità tra piazza Taksim e quelle della primavera araba, con l’assonanza di piazza Tahrir, siano alla scemenza. Basta un po’ di storia da medie inferiori. La Turchia, negli anni Ottanta, sotto la guida di Turgut Özal (che ho avuto il piacere di intervistare Ndr), ha iniziato un difficile percorso di cambiamento democratico dopo il colpo di Stato del 1980. Oltre i passi falsi inevitabili come il golpe un po’ naif del 1997, la violenza e la crisi che ha ingolfato il paese in quel decennio sono stati via via superati con un approccio anche politico che non è mai arrivato a Il Caito in piazza Tahrir.
Ambientalismo. Credibile su Gezi Parc? Nella città dove sta per essere costruito il terzo ponte sul Bosforo e il terzo aeroporto, non pare questione vicina al cuore della massa. La riconversione del parco Gezi è stata fomentata anche dal metodo con cui essa è stata imposta. Segnale non ricevuto dall’arrogante Erdogan. La radice di questa protesta va dunque cercata non tanto o non soltanto nella natura islamista dell’attuale governo. Ha pesato di più lo stile leaderistico e iperdecisionista di Recep Tayyip Erdoğan e la totale mancanza da 10 anni di contrappesi politici significativi.
Ridotta portata politica delle proteste, e quindi maggiore difficoltà a capire per rispondere o per reprimere. Da piazza Taksim e del parco di Gezi la protesta attraversa aree dove il Chp, Cumhuriyet Halk Partisi – Partito Repubblicano Popolare è molto radicato come ad Izmir, la greca Smirne, ad altre città dove invece, ad avere un forte radicamento è l’Ak Parti il Partito di Giustizia e Sviluppo che dal 2002 comanda tutto o quasi in Turchia, città come Ankara, Kayseri e Konya. Quindi segnale facilmente leggibile mirato sul metodo con cui la decisione del parco Gezi hanno tentato di imporla
Tanti elementi che nel corso degli ultimi anni, via via hanno alzato la sensazione di un crescente autoritarismo con iniziative politiche audaci e socialmente dilaceranti. In una sua analisi su Limes, Dario Cristiani che cita, in alternativa molto più grave alla riconversione urbana del parco di Gezi, la detenzione di svariate decine di giornalisti accusati di appartenere ad Ergenekon e rei di aver criticato il governo sui propri giornali. Troppo potere, troppa poca opposizione capace, ed eccovi le tendenze egemonico-decisioniste-autoritarie ovunque, non solo in Turchia. Erdogan ha attitudine.
Da un punto di vista elettorale e di consenso, il partito di Erdoğan rimane estremamente saldo e gli eventi degli ultimi giorni non sembrano averne scalfito la base di consenso amministrativamente vincente, anche se con una perdita catastrofica di consensi rispetto al 50 per cento delle ultime politiche. Il problema è Erdogan e la sua ambizione decisamente ipertrofica. Potrà dopo quanto accaduto concorrere al ruolo terzo di Presidente della Repubblica di Turchia? Ed ecco che Erdogan risulta pateticamente vicino e caricaturalmente simile all’ amico Silvio. Rottamato senza rottamatori