
I toni sono pessimi e le minacce più o meno diplomaticamente educate si intrecciano, tanto da spingere il vice Ministro degli Esteri russo Sergei Rybkov ad esprimere il timore che l’eventuale peggioramento della crisi in Ucraina potrebbe impedire la soluzione diplomatica sul nucleare con l’Iran entro luglio, come stabilito dall’Accordo di Ginevra tra Teheran e Consiglio di sicurezza ONU insieme alla Germania.
Gli USA hanno immediatamente avvertito che l’eventuale sviluppo del programma nucleare iraniano salderebbe un rapporto privilegiato Teheran-Mosca inaccettabile, considerato che nei giorni precedenti i due Paesi avevano siglato un accordo preliminare per la costruzione di almeno due centrali nucleari a Busheir.
In secondo luogo, l’Alto rappresentate della politica estera europea Catherine Ashton nel corso della recente visitata a Teheran aveva sollevato dubbi sulla possibile soluzione dei negoziati nei tempi stabiliti.
Di più la baronessa Ashton aveva incontrato nella capitale iraniana alcuni dissidenti senza informarne il locale Ministero degli Esteri il cui Ministro Javad Zarif aveva cancellato in segno di protesta il previsto colloquio bilaterale con la rappresentate europea.
Infine Israele aveva avvisato Vienna che stava valutando l’ipotesi di un intervento unilaterale in Iran.
I tre casi diplomatici hanno provocato l’irrigidimento iraniano sull’accordo riguardante il reattore ad acqua pesante di Arak, la cui chiusura è stata dichiarata assolutamente esclusa da Abbas Araghci, vice Ministro degli Esteri e numero due del team negoziale.
Posizione criticata dal gruppo di 83 senatori statunitensi che in una lettera inviata al Presidente hanno ribadito che l’Iran deve cedere Arak.
In questo clima, i negoziatori hanno aggiornato il nuovo round dei colloqui a Vienna dal 7 al 9 aprile.
Le ripercussioni sul fronte interno iraniano sono tutte favorevoli ai conservatori (non solo quelli iraniani) che fanno riferimento all’ex Presidente Ahmedi Nejad e con vasto seguito a Qom e Mashad.
Non a caso, in questi giorni gli ultraconservatori hanno ottenuto la chiusura di alcuni quotidiani, il blocco dell’avvicendamento dei vertici della Televisione di Stato e il rinvio della promessa scarcerazione dei leader riformisti agli arresti dal 2011.
La difficile situazione regionale è già gravata dalle ricadute della guerra civile in Siria su Libano e Iraq e vede allontanarsi quel clima di distensione favorito dal mancato intervento militare a Damasco e dal ripristino della scelta diplomatica fra Iran, USA e Comunità internazionale.
L’intervento di interessati attori di area da Israele all’Arabia Saudita, dalla Turchia alla Giordania e gli eventi in corso in Ukraina sembrano avere considerevolmente ridimensionato l’opportunità aperta dal Vertice di San Pietroburgo del settembre 2013.