Nucleare iraniano
A Washington
c’è anche chi bara

Dunque una sorta di appuntamento mensile fisso deciso il mese precedente a conclusione dell’incontro fra gli stessi interlocutori che concordano gli aspetti tecnici da esaminare nel successivo colloquio.

Secondo le dichiarazioni ufficiali l’intesa raggiunta prevede:

limite del 5% dell’arricchimento di uranio per la produzione dell’energia a scopo civile con mantenimento del limite del 20% nel reattore di Teheran utilizzato per la ricerca;

necessità di definire la destinazione del reattore ad acqua pesante di Arak e delle 19 mila centrifughe di ultima generazione presenti in Iran;

intensificazione delle ispezioni dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica nei prossimi mesi in vista dell’intesa definitiva che dovrebbe essere siglata entro sei mesi;

ulteriori controlli alla miniera di uranio di Shagand, alla fabbrica di concentrato d’uranio di Ardakan e al centro di tecnologia sperimentale di Lashkar Abad;

monitorizzazione dello sviluppo dei detonatori Exploding Bridge Wire e del polonio.

Partecipanti al summit ed esponenti della comunità internazionale si dichiarano soddisfatti dei risultati sin qui acquisiti anche se ammettono che il percorso da fare è ancora lungo.

 

In realtà la situazione è molto diversa.

Il vertice di febbraio si apre con un incontro teso fra il vice capo della delegazione iraniana il vice Ministro degli esteri Abbas Araghchi e la sottosegretaria di Stato statunitense Wendy Sherman, portatori di agende diverse.

Al punto che la Guida Suprema Ayatollah Alì Khamenei si dice pessimista sulla volontà occidentale di raggiungere un accordo.

Ed elenca alcuni punti di ambiguità da parte degli USA che troveranno successive conferme:

1. proseguono minacce, anche da parte del Presidente, di un attacco militare in mancanza di adesione alle richieste statunitensi e di parte dell’Occidente;

2. viene confermata la validità delle sanzioni in essere, la penalizzazione delle Compagnie che le hanno violate e la minaccia a quelle interessate a riallacciare rapporti commerciali con l’Iran;

3. prosegue il sostegno in favore dei ribelli contro il Presidente Assad, alleato di Teheran.

Tutti indicatori dell’intenzione USA di usare la problematica nucleare solo per indebolire e destabilizzare il Paese.

 

La stessa Sherman in occasione della deposizione al Congresso aveva assicurato che al vertice di febbraio avrebbe inserito in agenda due richieste: lo smantellamento totale del programma nucleare iraniano e doi poter sottoporre la parte residuale delle strutture a ispezioni molto intrusive.

Inoltre, gli USA vorrebbero che l’Iran cessasse ogni sostegno alla Siria, a Hezb’Allah e alle formazioni palestinesi filo-iraniane come il Jihad Islamico Palestinese che opera a Gaza, e il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina presente a Damasco e a Teheran.

Ancora più pressante è la richiesta USA di congelare il programma di difesa missilistica in fase di sperimentazione in Iran.

 

In termini più chiari, gli USA sarebbero orientati a utilizzare la diplomazia non verso un accordo che riconosca le legittime aspirazioni iraniane ma per ottenere obiettivi non compresi nell’agenda concordata sulla tematica nucleare.

In più, nel caso di una risposta negativa di Teheran resterebbe percorribile l’opzione militare per tentare di provocare un cambio di regime.

Il timore degli USA e di Israele è che l’Iran sia in condizione di installare testate nucleari sui missili a lungo raggio.

Sul punto l’Iran ha già ribadito mesi addietro che i missili balistici a lungo raggio hanno funzione difensiva per proteggersi da Israele che ha più volte minacciato iniziative militari unilaterali.

Lo stesso vice Ministro Araghchi, a fronte delle richieste della Sherman, ha chiarito che le questioni difensive non sono negoziabili né soggette a compromessi e che l’Iran nei vertici a venire non discuterà di argomenti diversi da quelli concordati sul nucleare.

 

La situazione è più articolata da quanto traspare dalle dichiarazioni ufficiali.

Infatti, alcuni senatori statunitensi hanno presentato una bozza di legge per subordinare l’eventuale accordo finale sul nucleare alla rinunzia da parte dell’Iran al programma missilistico di difesa.

L’iniziativa è stata adottata dopo che a metà febbraio Teheran ha testato con successo due missili balistici costruiti in Iran dopo che la Russia aveva interrotto la fornitura dei missili di nuova generazione S 300 con una portata stimata di almeno 1500 chilometri.

La distensione USA e Occidente con l’Iran in realtà attraversa ancora una fase d’instabilità che si ripercuote anche all’interno di tutti i Paesi interessati e in particolare a Teheran dove, alla fine di febbraio, il discorso televisivo del Presidente Hassan Rowani, più volte rinviato per asseriti problemi tecnici, non è mai andato in onda.

Segnale che si allinea alla posizione dei conservatori presenti fra pasdaran, Esercito e opposizione parlamentare e ha ascolto anche nella Guida Suprema Khamenei.

 

 

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