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Sarajevo 1984, i Giochi Olimpici dell’ultima Jugoslavia

Sarajevo 1984, i Giochi Olimpici dell'ultima Jugoslavia

 

La neve, negli inverni di Sarajevo, è una costante con cui devi convivere senza per questo amarla. Se poi la neve copre i campi di battaglia, allora è odio dovuto e meditato. Un metro di neve e venti gradi sotto zero non sono una sorpresa per quella conca sotto le cime delle piste olimpiche. Quando quei 20 gradi sotto lo zero erano accompagnati dall’assenza di riscaldamento, luce o petrolio che fosse, legna, acqua, cibo, speranza, beh allora l’inverno di Sarajevo era davvero maledetto. Ho conosciuto la Sarajevo del dopo olimpiadi, quando le piste per il saldo dal trampolino segnavano la via d’arrivo o di fuga attraverso il monte Igman, quando dal Trebevic sparavi palle di neve e non granate e quando sulle piste di Jahorina facevo lo slalom tra i paletti e non tra le mine, a segnare il fuoripista dell’ultima discesa sciistica della mia vita.

 

Un bel racconto di Azra Nuhefendić sull’Osservatorio Balcani e Caucaso ci posta a quella strana olimpiade. “La neve da noi non è mai stata un problema. Ne avevamo sempre in abbondanza. Ma all’inizio del febbraio 1984 la sua inspiegabile assenza ci tormentava. Circa quattro milioni di bosniaci ed erzegovesi scrutavano il cielo aspettando la neve, ci svegliavamo di notte per controllare se avesse cominciato, la prima domanda di mattina al risveglio era: “Nevica?” Accusavamo i meteorologi di aver sbagliato i calcoli e chi era religioso pregava affinché nevicasse. Invano. Per ogni eventualità erano pronti anche i cannoni per fare la neve artificiale, ma la precauzione ci pareva esagerata. Nei cento anni precedenti ai XIV Giochi Olimpici, a Sarajevo e dintorni era sempre caduta la neve”.

 

Interessante rileggere quella situazione e quei luoghi per che ha vissuto, 8 anni dopo, la Sarajevo della guerra. “Tutto era già pronto un anno prima che cominciassero i Giochi: era stato costruito il nuovo villaggio olimpico, nuovi alberghi erano stati aperti ed erano stati ristrutturati i vecchi, era stata recuperata e sistemata la parte antica ottomana della città, la Baščaršija, che era in rovina, e rischiava di essere distrutta per costruirne una “più bella e più antica”. Le principali strade della città erano state rifatte e allargate, le facciate dei palazzi dipinte, le rotaie dei tram elettrici cambiate, la stazione centrale restaurata, sui monti intorno a Sarajevo, Jahorina, Bjelašnica, Igman, e Trebević, erano state costruite tutte le strutture necessarie per i Giochi olimpici invernali. Alcune migliaia di giovani di tutta la Bosnia ogni giorno si esercitavano nel provare la coreografia per la cerimonia di apertura e di chiusura delle Olimpiadi”.

 

Sarajevo molto più di Sochi, prima della fine di quel mondo. L’ultima olimpiade comunista. “Fu la prima olimpiade invernale tenutasi in un paese comunista. Fu un primato per numero di partecipanti da quarantanove paesi, con 1.272 atleti seguiti da 7.393 giornalisti e visti da due miliardi di telespettatori. Gli organizzatori avevano venduto 250 mila biglietti E avevano guadagnato 47 milioni di dollari. Grazie ai Giochi furono creati 9.500 nuovi posti di lavoro. Per la prima volta, come sport dimostrativo, alle Olimpiadi invernali i disabili gareggiarono nello slalom gigante, e per la prima volta nella storia delle Olimpiadi, la coppia di pattinatori artistici sul giaccio, Jayne Torvill e Christopher Dean, dall’Inghilterra, ricevette il massimo del punteggio”. Lasciamo qui il bello e sentito racconto della testimone si eccezione raccolto da Osservatorio Balcani e Caucaso.

 

Sarajevo 1984, i Giochi Olimpici dell'ultima Jugoslavia

 

Le olimpiadi di Sarajevo non solo per malinconia balcanica, ma per contraltare simbolico di ciò che una olimpiade poteva ancore essere e che ora non è più. Abbiamo scritto degli sprechi assurdi di Sochi, comprese ruberie e danni irreparabili all’ambiente. Sentite ancora Azra: “Erano tempi diversi, e anche i valori erano diversi. Ci avevano promesso, nel caso di vittoria un videoregistratore”. Juan Antonio Samaranch era presidente del Comitato olimpico internazionale e a Sarajevo disse: “Il movimento olimpico si è arricchito. Per la prima volta i giochi olimpici sono stati organizzati da un popolo”. Poi fu la guerra. E i villaggi olimpici di Mojmilo e Dobrinja, progettati per diventare i nuovi quartieri della città in una bella zona vicino all’aeroporto, divennero trincea. Dobrinja in particolare, dove riuscii ed entrare ma dove i suoi abitanti non potevano uscire, per obbligo patriottico alla difesa.

 

Oggi i serbi sciano sul monte Jahorina, mentre i bosniacchi su Bjelašnica. E i russi non vanno a sciare a Sochi.

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