Vergogna Qatar, medioevo d’oro

A fine gennaio il Nepal ha protestato con Doha: nell’Emirato del Qatar per gli operai nepalesi impegnati a realizzare gli impianti per i mondiali di calcio del 2022, è peggio della guerra. 191 morti nel 2013 e 169 l’anno precedente. Lo sfruttamento senza vergogna di uno Stato senza pudore

Più di 400 mila operai impegnati nella costruzione delle infrastrutture per i mondiali di calcio nel 2022, con l’allestimento di 12 stadi di cui 9 da costruire e 3 da ristrutturare. Tutti giovani fra 20 e 30 anni. Alcuni sono morti per arresto cardiaco, morti di fatica di dovrebbe dire, altri per incidenti sul lavoro che da noi sono chiamati omicidi bianchi.

Il totale dei migranti costituisce l’85% di una popolazione di 1,8 milioni che conta solo 250 mila nativi. I manovali sono sottoposti a condizioni che la Confederazione sindacale internazionale ha definito inumane dopo averne rivelato le violazioni dei diritti.

Condizioni di lavoro disumane

I lavoratori guadagnano meno di 200 dollari al mese per 10 ore di lavoro al giorno, viene loro accantonato stipendio e passaporto a garanzia del loro comportamento, non possono scioperare né iscriversi ai sindacati e lavorano in assoluta mancanza di sicurezza, con poco cibo e poca acqua con un clima che, nella stagione estiva, va oltre i 50 gradi.

Il Presidente della Federcalcio Mondiale Sepp Blatter accusa la Confederazione sindacale di fare propaganda allarmistica e preferisce gestire i miliardi di dollari destinati dal Qatar per ottenere i primi Mondiali arabi. La Fédération International de Fooball Association assume la stessa posizione. Non vede e non parla.

Che succede nel Regno?

A giugno 2013 l’Emiro Hamad bin Khalifa al Thani, 61 anni, ha lasciato il trono al Principe ereditario Sheikh bin Hamad, 33 enne, con studi in Gran Bretagna e USA e vicino ai Fratelli Musulmani. Nessuna tentazione di democratizzazione in famiglia. Certo non lo fu per l’Emiro Hamad che era succeduto al padre Sheikh Khalifa nel 1995 con un colpo di palazzo pianificato mentre il Re si trovava in Svizzera.

L’abdicazione del Re è stata presentata dai media locali -prima fra tutti l’emittente qatariota Al Jazeera- come un segnale di discontinuità per un percorso nuovo verso la democrazia. Al contrario, è avvenuta nella ferrea continuità. Sentite qui:

  • -prima di lasciare le consegne al figlio, l’Emiro ha prorogato con un decreto il mandato della Majlis al Shura, Assemblea Costitutiva;
  • i membri dell’Assemblea in carica sono tutti di nomina regia, come in precedenza;
  • per quanto riguarda le riforme promesse dal Re nel 2011 per sedare le proteste diffuse allora nella Regione, sono state rinviate contestualmente all’abdicazione le elezioni promesse per la metà del 2013 sono state rinviate in data da stabilire.

La democrazia non gode di buona fama e salute da quelle parti, ma i soldi sì, e molto.

Con un PIL pro capite di 400 mila dollari, l’Emirato ha visto crescere il Prodotto Interno Lordo da 8 miliardi di dollari nel 1995 a 73 nel 2012 mentre altri Paesi del Golfo, dopo il boom economico degli anni ‘70-’90, hanno avuto una fase di stallo.

  • Dubai ha subito il crollo del mercato immobiliare
  • Il Bahrein ha pagato gli approssimativi investimenti nei mercati finanziari.
  • L’Oman paga il ritardo nella valorizzazione del turismo.
  • L’enorme riserva di gas naturale, che il Qatar condivide con l’Iran, ha generato profitti aumentati dai 60 miliardi di dollari del 2011 a oltre 100 nel 2012.

Sulla base di questa liquidità il Qatar ha adottato una politica economica di espansione dagli USA all’Europa acquisendo partecipazioni in Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia Russia, Spagna, Svizzera e Turchia.

Il privilegiato rapporto con gli Usa

L’Emirato ha sopperito alla mancanza di un proprio sistema di sicurezza con una vasta rete relazionale ad ampio spettro consolidata dal suo privilegiato rapporto con gli USA. La base aerea statunitense più grande del mondo è ad Al Udeid, in Qatar, dove ha sede il Comando Centrale USA – Centcom – responsabile degli scacchieri mediorientali e centrasiatici.

Rapporto che dopo l’11 settembre 2001 ha consentito al Qatar una politica estera aggressiva e l’inserimento in quasi tutti i conflitti dell’ultimo decennio: Afghanistan, Bahrein, Iraq, Libia, Siria e Yemen.

Ultima non certo per ordine di importanza il lancio nel 1996 dell’emittente Al Jazeera diventata -insieme alla saudita Al Arabia- il volano della controriforma comunicativa sulle rivolte arabe dell’Arco Mediterraneo da Rabat a Latakia e oltre sino allo Yemen.

Rivolte che rappresentavano una minaccia mortale per la stabilità dei Regni del Consiglio di Cooperazione del Golfo: Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait, Oman, Qatar.

Disinformazione

La campagna di disinformazione che presentava sin dai primi giorni delle manifestazioni di protesta scenari apocalittici nei Paesi a rischio ha facilitato:-interventi militari a guida USA e/o NATO; -sostituzione dell’ opposizione spontaneista con formazioni islamiche radicali generosamente armate e supportate a livello logistico e politico; -immediata delegittimazione politica della leadership in carica; -riconoscimento dei rivoltosi come “legittimi rappresentanti del popolo”.

Guerra umanitaria, sostituzione pilotata e “intervento interno”.

Il primo è stato riservato – non a caso – a due Paesi dell’”asse del male”: Libia e Siria. Il secondo allo Yemen. La rivolta sciita nel Bahrein è stata invece oggetto del terzo modulo. Nel silenzio interessato della Comunità Internazionale, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar hanno inviato militari e carri armati che hanno posto fine alle manifestazioni nel Paese che ospita la V Flotta statunitense. Al prezzo di circa 100 morti – secondo l’opposizione – e l’arresto di migliaia di persone nei confronti dei quali i processi durano ancora oggi.

Il Qatar appoggia i Fratelli Musulmani ma non disdegna le formazioni radicali armate dai deobandi Taleban afghani ai quali ha concesso l’apertura di un Ufficio di rappresentanza a Doha, ai jihadisti operanti in Libia, Siria, Libano, Iraq.

Il campionato d’inverno

Il Qatar non ha ancora deciso tra inverno o estate la data per i campionati di calcio. Nel frattempo ha disposto che i campi siano a struttura coperta, con l’aria condizionata. L’investimento è stimato in 50 miliardi di dollari.

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