
Ieri per capire l’oggi. Quel noto “pacifista” di Dick Cheney, vice Presidente Usa con la seconda scelta di Presidenti della famiglia Bush. Dal caos ricreare il mondo ispirato al modello (e alla convenienza) degli Stati Uniti. Democrazia a mano armata, la Bibbia in una mano e la colt nell’altra
Tutto nasce da un progetto presentato dall’allora vice Presidente Usa Dick Cheney al Congresso dei Veterans of Foreign Wars il 26 agosto 2002, a promuovere il secondo intervento in Iraq della famiglia Bush.
Nell’occasione il vice Presidente ufficializzò la nuova teoria, quella appunto del «caos creativo», per rinnovare la strategia militare. Sconvolgiamo tutto il vecchio per ricreare un nuovo che ci piace. Cheney lo disse così: “Quando le minacce più gravi saranno state eliminate i popoli avranno la possibilità di promuovere i valori che possono portare a una pace duratura […] gli estremisti saranno costretti a ripensare la strategia del jihad”.
Il progetto del «Caos creativo» in realtà era stato elaborato da Martin Indyk negli anni ’90 dopo la Prima Guerra del Golfo, quella tra Iraq- Iran durata del 1980 al 1988. Una strategia messa in atto quando divenne direttore per gli Affari del Medio Oriente e dell’Asia meridionale al National Security Council.
La teoria del caos creativo va tutt’uno con il concetto “colpisci e terrorizza” accolto dal Pentagono e pubblicato nel 1996 dalla National Defence University.
L’obiettivo era quello di annullare la volontà di combattere dell’avversario con atti di distruzione e di terrore facendogli perdere ogni volontà di opporsi.
L’idea piacque a Donald H. Rumsfeld che divenne Segretario alla Difesa nel 2001 che ne fece ampio uso nei primi due giorni di attacco all’Iraq: furono lanciati su Baghdad 800 missili Tomahawk, più di quanti usati nell’intera seconda guerra del Golfo del 1991, con distruzione di risorse elettriche e idriche, lasciando senza acqua né cibo 1,5 milioni persone, il 40% dei quali erano bambini, provocando inoltre circa mille vittime civili.
La stessa “guerra al terrorismo” fu pianificata prima dell’11 settembre.
Gli Stati nemici inclusi nell’ ”asse del male” erano indicati come obiettivi delle politiche americane in un rapporto del settembre 2000. Titolo emblematico, «Project for a New American Century» diretto fra gli altri al vice Presidente Cheney, al Segretario della Difesa Rumsfeld e al sottosegretario di Stato John Bolton.
Il documento aveva come obiettivo: “il mantenimento della supremazia americana globale…mettendo a punto un ordine di sicurezza internazionale in linea con i principi e gli interessi americani”.
Il contesto. La caduta della cortina di ferro e gli eventi dell’11 settembre avevano riproposto negli Stati Uniti la convinzione che la forza militare anche unilaterale fosse nell’interesse dell’America e per la diffusione della democrazia. Era il movimento neo-conservatore.
Del resto il mondo a guida unipolare aveva in quegli anni inanellato una serie di successi che legittimavano la supremazia Usa: l’immediata vittoria nel 1991 contro l’Iraq che aveva invaso il Kuwait, l’intervento nei Balcani per la Bosnia e 4 anni dopo, la resa della Serbia nel 1999 sulla sovranità in Kosovo.
Date queste premesse, ecco affacciarsi delle domande. Alcuni dubbi.
Perché invece di inseguire Al Qaeda col sostegno dell’intera Comunità Internazionale, attaccare praticamente da soli un Iraq indebolito da 10 anni di sanzioni, quasi demilitarizzato e senza nucleare né arsenale batteriologico e chimico smantellato dallo stesso Saddam Hussein?
Che contatti aveva l’Iraq di Saddam con Osama bin Laden?
Non era stato lo stesso Bin Laden ad emanare una fatwa, una maledizione contro Saddam 1998, prima di rifugiarsi in Afghanistan e Pakistan?
L’applicazione della teoria del «Caos creativo».
Le guerre in Afghanistan, Iraq e Libia hanno consentito agli Usa l’occupazione della regione in Asia centrale, Medio Oriente e Africa assicurandosi l’accesso ininterrotto di risorse energetiche e non solo. Ovviamente per portare, come spiegava il ‘missionario’ Cheney, ovunque democrazia mede in Usa.
Ma il caos seminato in Afghanistan, Iraq e Libia ha germogliato l’esatto opposto della democrazia, e quello, davvero, in un inarrestabile effetto domino.