
Una opinione nel mare delle incertezze che circondano la conferenza di Ginevra sulla Siria. Aldo Madia, che per oltre 40 anni ha svolto attività sul terrorismo in Italia e Paesi europei e dell’ opposizione armata in Medio Oriente, Asia e Africa.
Chi vince e chi perde? Vince il gruppo dei trenta Paesi de “Gli Amici della Siria” guidati da Arabia Saudita e Paesi del Golfo, USA, U.K. e Francia che hanno sostenuto e armato l’opposizione.
Vince perché le rivolte islamiche iniziate nel 2009 a giugno in Iran per la contestata rielezione del Presidente Ahmedi Najad e poi in tutto l’Arco Mediterraneo da Rabat a Latakia, mettevano in pericolo l’assetto disegnato per la Regione Medio Orientale dalle grandi potenze coloniali con l’aiuto di Arabia Saudita, Giordania e Paesi del Golfo.
Vince la riedizione aggiornata della “Guerra contro il terrorismo e l’Asse del Male” iniziata dagli USA dopo le stragi dell’11 settembre 2001.
Nel mondo a guida unipolare gli USA attaccano l’Afghanistan nell’ottobre 2001 e nel gennaio 2002 il Presidente pro tempore George William Bush usa per la prima volta l’espressione “Axis of evil”, l’Asse del male e i cinque Stati percepiti come una minaccia assoluta: Corea del Nord, Iran, Iraq, Libia e Siria.
Obiettivi dichiarati erano due: in primo luogo, la distruzione delle basi afghane da cui erano partiti gli attentatori dell’11 settembre. In un secondo momento si sarebbe pensato al Nord Corea in possesso di armi di distruzione di massa, Iran e Iraq che supportavano il terrorismo.
Nel marzo 2003 gli USA attaccano l’Iraq.
Le due guerre (Afghanistan e Iraq) hanno innescato profondi cambiamenti nella Regione Medio Orientale. Vediamo cosa è accaduto nell’area: 1) la seconda Intifada palestinese dal 2001 al 2006; 2) la guerra israelo-libanese di luglio e agosto 2006; 3) le rivolte arabe contrastate degli interventi, coperti e no, di USA, U.K., Francia e Paesi del Golfo a guida saudita; 4) la guerra in Libia dal marzo all’ottobre 2011.
Importanti mutazioni geo-strategiche avvenivano nel mondo per l’emergere di Paesi come Cina, Russia, Brasile, India, Sudafrica – il BRICS – passato dall’unipolarismo alla guida multipolare con geometria variabile, atteso che gli USA si trovano a competere con Russia e/o Cina a seconda delle Regioni di interesse.
La guerra pensata da Bush contro la Siria rientrava in questo composito contesto come vi rientrano ora l’iniziativa di pacificazione e i rapporti ripresi con Teheran.
Resi possibili dall’asse russo-cinese che ha opposto il veto a ogni azione militare contro la Siria e favorito nuovi rapporti diplomatici tra Washington e Teheran.
Privilegiato in questo momento il colloquio dopo il catastrofico bilancio delle guerre. Una scelta comunque contrastata in cui l’opzione militare si affaccia sistematicamente.
Ma è sempre lo scenario di guerra ad imporsi.
In Afghanistan, un conflitto che dura tuttora e non finirà certo a dicembre 2014 con il ritiro dell’Esercito USA.
L’attacco in Iraq che ne sta provocando lo smembramento, la guerra civile in Siria e Libano, il bombardamento in Libia diventata ormai la Turtuga dei pirati sul Mediterrtaneo, la guerra in Mali allargata poi al Niger, con la devastazione di quei Paesi e l’aumento esponenziale del terrorismo jihadista.
Mentre in Africa vi sono guerre anche nella Repubblica Centro Africana e in Sud Sudan.
Per completare il quadro, non va sottovalutato il “convitato di pietra”: l’accaparramento delle risorse energetiche. Alla fin fine, la ragione stessa delle guerre.
Quando i talebani conquistarono Kabul nel settembre 1996 si trovarono contro India, Iran e Russia mentre Arabia saudita e ne riconobbero il governo. Non si schierarono gli USA per la politica anti-iraniana dei Taliban e per l’interesse al progetto di un gasdotto dall’Asia centrale senza passare attraverso l’Iran.
Solo nel 1999 gli USA presero una netta posizione contro governo afghano fino alla guerra del 2001.
Sconfitti i Taleban, gli USA si sono installati in Afghanistan dove hanno imposto come Presidente Hamid Karzai, già consigliere della Compagnia Petrolifera statunitense UNOCAL.
I militari USA sono presenti anche in Repubbliche dell’Asia Centrale che facevano parte dell’Urss, prima fra tutte in Uzbekistan.
Anche per quanto riguarda l’Iran c’è un problema energetico.
Prima dell’implosione dell’ Urss lo status giuridico della regione del Caspio riconosceva a Teheran e Mosca il 50% del controllo sulle acque dove si trovano i maggiori giacimenti.
Adesso il dibattito riguarda tutti gli Stati rivieraschi: Azerbaijan, Iran, Kazakistan, Russia e Turkmenistan.
A seconda che prevalga l’opzione su base aritmetica (cinque Stati, 20% ognuno), o quella proporzionale all’estensione della costa sul mare, a Teheran il 20% del primo caso potrebbe scendere a 14.
Questione di primario interesse anche per Russia e USA.
Tanto che gli USA da oltre 2 anni stanno spostando il loro baricentro geo-politico dall’Atlantico al Pacifico dove, nel breve periodo graviteranno, il 60% delle forse navali Usa anche in chiave anti-cinese.
Non è un caso dunque l’asse politico diplomatico Russia-Cina per l’Iran (e per la Siria) anche per le conseguenze che avrà sull’egemonia energetica nella Regione caspica.
Per quanto riguarda la Regione mediorientale il progetto segue i mutamenti avvenuti e potrebbe puntare su:
a) l’ Iran rientrato a pieno titolo nella Comunità Internazionale;
b) la Siria, rinnovata al vertice, fare pulizia del terrorismo, come sta facendo l’Iraq;
c) il Libano impegnato e realizzare un Governo di unità nazionale liberandosi dagli estremismi con un appoggio tattico di Hezb’Allah;
d) il consolidamento in Maghreb di Marocco, Tunisia ed Egitto, con una particolare attenzione ai prossimi eventi algerini;
e) l’intervento di Arabia Saudita e Paesi del Golfo nello Yemen, dove gli attentati proseguono a ritmo settimanale.
Per la Libia, ormai nel caos, USA, U.K., Francia e Arabia Saudita possono fornire supporti nel quadro delle alleanze internazionali, affidandosi all’Italia che ha già assicurato le iniziative adeguate.
Mentre, cruccio ormai storico, il conflitto israelo-palestinese sembra destinato a perdurare nella sostanziale inerzia della Comunità internazionale.