
La scena è quella di ogni delitto. Hai le vittime, molti possibili colpevoli e, per capire, devi mettere assieme e analizzare gli indizi. Per l’autobomba di Beirut, manca finora una rivendicazione ma abbondano gli indizi. Un atto terroristico avvenuto con modalità e in un luogo e data particolari.
Le modalità: l’autobomba suicida si è diretta verso il convoglio che scortava Shattah replicando il modus operandi dell’attacco con cui venne ucciso l’ex Primo Ministro Rafiq Hariri.
Il luogo: non è lontano da dove il 14 febbraio 2005 trovarono la morte l’ex Premier Rafiq e altre 21 persone.
La data: a sole 3 settimane dall’inizio il 16 gennaio all’Aja, tribunale internazionale, del processo a carico di cinque militanti di Hezb’Allah accusati di essere stati i responsabili di quell’attacco.
Troppe coincidenze per essere casuali.
Attentati collegati tra loro, è l’alta probabilità, ma in quale logica e per quali mani?
Dettaglio importante per capire i potenziali esecutori e/o mandanti dell’attacco suicida di ieri. Hezb’Allah ha sempre respinto le accuse che lo volevano autore o mandante per la morte l’ex Premier Rafiq Hariri.
Colpevoli, per Hezb’Allah, furono invece Arabia Saudita, Stati Uniti, Francia e Israele interessati a porre fine alla presenza della Siria in Libano.
Scenario da trama di portata globale, ma con elementi politici in parte verificati.
La Francia, sostenuta dagli Stati Uniti, già nel settembre 2004 aveva ottenuto dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu la Risoluzione 1559 secondo cui la Siria avrebbe dovuto lasciare il Libano nonostante gli accordi bilaterali fra i due Paesi.
L’attentato di febbraio costrinse di fatto Damasco a ritirare il suo apparato militare e di sicurezza dal Libano nell’aprile del 2005.
Poi una serie di ulteriori elementi sparsi e tra loro collegabili in diverso modo. Vediamoli in successione.
1) Le elezioni svolte nello stesso 2005 furono vinte dalla Coalizione 14 marzo guidata da Saad Hariri, il figlio dell’ex premier ucciso. Una coalizione che riuniva le forze ostili a Hezb’Allah, delegittimato allora proprio dalle accuse per l’attentato a Rafiq Hariri successivamente portate dal Tribunale Speciale all’Aja.
2) La guerra in Siria. La “Dichiarazione di Baabde” del 2012 sottoscritta anche da Hezb’Allah impegnava tutte le componenti libanesi a non coinvolgersi nella crisi siriana.
3) Il Segretario Generale del movimento Sayyed Hassan Nasrallah, violando la neutralità ufficialmente scelta dal Libano, ha continuato a inviare migliaia di combattenti a sostegno del governo di Assad.
4) Il Libano è privo da oltre 8 mesi di un Governo a causa dell’aggravamento di una crisi che non consente al Premier Najib Mikati di trovare una maggioranza:
E il Libano sta scivolando nella guerra civile.
Nel 2013 gli attentati incrociati contro sciiti o sunniti hanno provocato centinaia di morti e migliaia di feriti.
L’attacco all’Ambasciata iraniana il 19 Novembre ha causato 25 morti e 150 feriti e gli scontri armati a Tripoli fra i sunniti di Bab al Tabbaneh e gli alawiti di Jabal Mohsen durano da oltre 2 anni con ripercussioni anche nella Valle della Bekaa, vicino al confine siriano.
Altri attentati sono stati compiuti a Bir el Abed a luglio e a Rweiss ad agosto nel Sud di Beirut contro roccaforti sciite mentre nello stesso agosto a Tripoli due devastanti stragi nelle moschee sunnite di al Taqwa e di Salman hanno provocato 42 morti e oltre 500 feriti.
Il 3 dicembre ad Haddad, nella periferia di Beirut Hassan Laqqis, comandante militare di Hezb’Allah, è stato ucciso con due colpi di pistola alla testa mentre rientrava nella sua abitazione.
Stragi ed esecuzioni mirate non sempre vengono rivendicate ma quando lo sono, indicano gruppi di non chiara matrice, come Sunniti Liberi del Battaglione Baalbek, jihadisti che si sono assunti la paternità dell’assassinio di Laqqis, o come Le Brigate Abdullah Azzam, alleati di formazioni jihadiste sunnite operanti a cavallo della frontiera siro-libanese che hanno rivendicato fra le altre la strage contro l’Ambasciata iraniana.
Il segretario generale del movimento Hezb’Allah, Nasrallah ha più volte pubblicamente dichiarato che “non intende sparare il primo colpo” per non fornire agli alleati dell’Arabia Saudita in Libano – come il Fronte 14 marzo – l’occasione di aver trasformato il Libano in un campo di battaglia.
La responsabilità dell’uccisione di Mohammed Shattah non sarà facilmente individuata ma di certo vi sarà uno scambio di accuse reciproche che vede in una posizione difficile il movimento sciita.
E il motivo è semplice.
Dopo il mancato attacco alla Siria e l’apertura al colloquio con l’Iran, l’Arabia Saudita ha deciso di portare la guerra alla Siria in tutta la Regione appoggiandosi a Paesi e formazioni politiche che ne condividono lo stesso approccio: attaccare la Siria e i suoi alleati anche attraverso gruppi jihadisti qaedisti e no.
Attaccare la Siria vuole dire isolare l’Iran e demolire la mezzaluna sciita.
Portare la guerra a livello regionale ha già consentito importanti risultati: il caos in Iraq; la caduta della componente filo-sciita delle formazioni palestinesi di Gaza; la devastazione di Damasco; l’indebolimento di Hezb’Allah criticato anche all’interno del Libano per l’esposizione in Siria che ha comportato finora oltre 200 morti e l’inserimento dell’ala armata nell’elenco delle organizzazioni terroristiche da parte di USA ed EU nel luglio 2013.
Per Arabia Saudita e i suoi alleati è un’occasione per ridisegnare la Regione riacquistandone l’egemonia ora offuscata dalle sconfitte sul piano diplomatico su Siria e Iran.