Il riarmo nipponico
le ragioni e le paure

Dell’attuale tensione cino-giapponese si è trattato ampiamente su “Remocontro”, forse più di quanto abbiano fatto i maggiori quotidiani nazionali. E credo che i motivi siano evidenti. Anche se in Italia le notizie al riguardo vengono di solito relegate in piccoli spazi nelle pagine interne dei giornali, la situazione sta diventano sempre più pericolosa, tenendo conto del fatto che i due Paesi asiatici non sono gli unici protagonisti.

Il coinvolgimento USA era scontato, pur tra le perenni oscillazioni che caratterizzano l’attuale amministrazioni e i dubbi amletici cui Obama ci ha ormai abituato sin dagli inizi del suo primo mandato.

Tuttavia la tensione non accenna a diminuire. Ne è prova un recente episodio avvenuto in acque internazionali del Pacifico, dove lo scontro tra la marina americana e quella della Repubblica Popolare è stato evitato per un soffio. La scorsa settimana i cinesi hanno organizzato manovre in acque distanti dal loro territorio facendo uscire la portaerei Liaoning con una squadra navale di scorta.

 

Come sempre accade in questi casi le flotte di altre nazioni hanno piazzato in loco loro unità per monitorare le manovre di cui sopra. A questo punto un cacciatorpediniere cinese ha intimato l’alt all’incrociatore USA “USS Cowpens” e, non avendo ricevuto risposta, ha adottato una rotta di piena collisione. Questa è stata evitata solo grazie a una manovra di emergenza in extremis della nave americana. In caso contrario, ha dichiarato un funzionario della US Navy, la collisione sarebbe stata inevitabile.

I fatti – giova ripeterlo – si sono svolti in acque dichiaratamente internazionali, ed è evidente che i cinesi erano così pronti allo scontro da non adottare misura alcuna per scongiurarlo. Per riassumere, non solo la Cina ha esteso in modo unilaterale lo spazio aereo, ma dà segno di considerare pure le acque internazionali come proprie se la sua flotta vi effettua manovre.

E’, come ho già scritto in altre occasioni, un comportamento da grande potenza che non esita a praticare una politica aggressiva essendo conscia della propria forza, e accettando i rischi che tale comportamento può provocare.

 

Ad essere allarmato non è solo il Giappone, ma tutte le nazioni che fanno parte di quell’area geografica: Corea del Sud, Taiwan, Filippine, Vietnam, Malesia, Thailandia etc. Senza scordare l’Australia che, pur lontana, ha interessi strategici nella zona.

Mi chiedo quindi se è lecito addossare al Paese del Sol Levante e al neonazionalismo del governo Abe tutta la colpa della crisi. A me pare giustificato che, dopo il basso profilo militare imposto dalle potenze vincitrici alla fine della seconda guerra mondiale, i giapponesi intendano dotarsi di forze più consistenti di quelle di “autodifesa” loro consentite.

Certo, nessuno dimentica lo stupro di Nanchino e i crimini dei quali l’ex esercito imperiale si è macchiato durante il conflitto e ancor prima che esso scoppiasse (proprio – e soprattutto – in una Cina ben diversa da quella attuale). Né gli USA dimenticano Pearl Harbor.

Ma, di fronte a una Repubblica Popolare che gonfia i muscoli a ogni occasione e si comporta da padrona nelle acque e nello spazio aereo internazionali, chiedere al Giappone di assumere un atteggiamento passivo mi pare francamente poco realistico.

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