
Cambia tutto ma i giochi non sono fatti. La mondializzazione in atto, dopo aver registrato negli ultimi due decenni la caduta del sistema sovietico e l’emersione di significative potenze come Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, il cosiddetto BRICS, si avvia verso un sistema a geometria variabile. Dallo scontro Est-Ovest, a quello per “linee di colore” Nord-Sud e al fondamentalismo di matrice religiosa si affianca l’implosione di entità statuali che dalla decolonizzazione al 2010 avevano mantenuto una continuità di potere decisionale interno e internazionale.
La maggioranza degli analisti pur attenti alle dinamiche mediorientali hanno presentato come artefice esclusivo della trasformazione in corso un nuovo soggetto politico: il popolo. Uomini e donne in oceaniche rivolte, armati soltanto dei nuovi mezzi di comunicazione, vedi twitter, face-book, social network. Tutti a chiedere diritto di studio, occupazione, alloggio affinché ogni persona sino ad allora suddito destinatario di soli doveri, divenga cittadino con diritti. Un futuro non sottoposto ai parametri arcigni dettati dai “Piani di Aggiustamento Strutturale”, gli Structural Adjustement Program del Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale e delle Istituzioni finanziarie globali.
In un quadro geo-strategico i movimenti iniziati nel 2010 e ancora in corso non rappresentano “rivolte per il pane” o la semplice ricerca della democrazia di modello occidentale. Un approccio semplicistico che trascura la complessità dei fattori interni ed esterni nei Paesi e nelle aree coinvolti e fornisce una lettura banale e parziale degli eventi veicolando nell’immaginario collettivo un linguaggio di forte presa mediatica ma di ben scarsa adesione alla realtà.
Non è un caso che sin dal maggio 2011 gli Usa, al Convegno su Africa e Medio Oriente, annunciarono un “Piano Economico di sostegno alla democrazia” in Tunisia ed Egitto (esteso nell’ottobre successivo a fine missione Nato alla Libia) investendo fondi per 2 miliardi di dollari per promuovere il settore privato e future joint-venture con imprese USA. Di fatto al “vento mutante” del 2011, dopo la caduta dei leader di Tunisia, Egitto e Libia, nel silenzio-assenso della Lega Araba andava e va subentrando oggi un potente “Asse sunnita” conservatore. Stati arabi filo occidentali guidati da una ricca borghesia collusa con i precedenti regimi assieme a una parte dell’apparato religioso riformista in grado di offrire una tentacolare rete di sostegno.
Valore strategico enorme nelle aree di interesse occidentale specie nella “mezzaluna sciita”, Iran, Iraq, Siria, Hezb’Allah libanese e formazioni filo-sciite della Strisci di Gaza. La restaurazione è in corso e detta le stesse politiche economiche neo-liberiste del passato.