Londra che oggi brucia di vergogna, fiamme nella storia

Gli incendi nella memoria storica della città di Londra da sempre. Dal ‘grande incendio’ del 1666, all’Ottocento, all’incendio che nel 1834 devastò il palazzo del parlamento e la cui forza distruttrice è rappresentata in un celebre quadro di Turner. La Londra vittoriana fu città di grandi contrasti e differenze sociali che si coglievano soprattutto nei quartieri cittadini. Da una parte edifici privati moderni e sontuosi edifici pubblici, ma dall’altra quartieri popolari fittamente popolati oltre ogni immaginazione. Nel secolo XIX la popolazione infatti quadruplicò passando da poco più di un milione e mezzo di abitanti a quasi sei all’inizio del XX secolo: solo nel 1848/49, a seguito della grande carestia in Irlanda, presero dimora in città circa centomila irlandesi fuggiti dalla loro isola.

Pittura del ‘grande incendio’ di Londra del 1666,

Questa crescita che ebbe punte drammatiche, superò di gran lunga le capacità della città far fronte alle necessità degli abitanti, anche se le autorità del tempo non omisero di creare una buona polizia (l’attuale Scotland Yard risale al 1829) e ampie e moderne carceri per ospitare i numerosi detenuti. L’atmosfera della città, o forse è meglio dire l’aria stessa che vi si respirava, era caratterizzata dalla mancanza di fognature e dalle presenza massiccia di stufe di ghisa a carbone. Qualsiasi rifiuto era infatti scaricato direttamente nel Tamigi e poiché, rispetto altri paesi europei, esisteva abbondanza di carbone combustibile, nell’aria si diffondevano i fumi delle stufe mescolati agli odori dell’immondizia. Quando infine si diffuse anche l’illuminazione a gas (ricavato anch’esso dal carbone), oltre alle stufe si aggiunse un altro pericoloso elemento infiammabile diffuso in varie zone della città.

Joseph Turner, L’incendio del parlamento 1834

Benché il quadro possa apparire esagerato, basta prendere in mano un libro di Charles Dickens per trovare, oltre alla miseria, descrizioni di numerosi incendi che nella stragrande maggioranza dei casi si propagavano inesorabilmente alle case circostanti. Dickens, che racconta di straccivendoli, ubriaconi o mendicanti, sembra tornare oggi di straordinaria attualità per chi vuole riflettere sulla questione sociale, perché al tempo era appunto attratto dagli incendi nei quartieri popolari e alle loro conseguenze. Altro aspetto critico della città erano le condizioni igieniche e per un lungo periodo l’insorgere di epidemie infettive dal vaiolo al colera, dalla scarlattina alla pertosse non fu affatto infrequente. A dispetto del fatto che il vaccino contro il vaiolo fosse stato studiato e realizzato da un inglese, fino alla metà dell’Ottocento e poco oltre, la malattia continuò a mietere vittime soprattutto tra i bambini londinesi.

Charles Dickens

Non fu comunque solo lo scrittore inglese Dickens a nutrire dubbi sulla realtà contraddittoria del progresso britannico (e in particolare delle condizioni di vita delle classi popolari), ma a fare osservazioni più rigorose e scientifiche si aggiunse anche un tedesco colto e puntiglioso, che non ritrattò mai il senso delle sue prime note: Friedrich Engels, nell’ultima edizione de «La situazione della classe operaia in Inghilterra» apparsa mezzo secolo dopo la prima, ammise che si trattava in un certo senso di uno scritto giovanile, ma la sostanza restava. La situazione vista a Manchester e a Londra si sarebbe infatti protratta fino agli anni Settanta dell’Ottocento, ovvero per tutta la fase di massimo sviluppo dell’economia inglese, prima che la concorrenza europea e statunitense minassero la sua supremazia.

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